La robotica collaborativa è contraddistinta da una marcata facilità d’uso. Ciononostante il suo corretto utilizzo non è esente da incomprensioni sul miglior modo di integrarla nei processi: le più comuni riguardano un’errata interpretazione della reale natura dello strumento.
Proviamo quindi a fare chiarezza e sgombrare il campo da una serie di malintesi applicativi che rischiano di ridurre i vantaggi derivanti dalla robotica collaborativa.
Un cobot non è un robot come tutti gli altri
Un cobot - a differenza di un robot tradizionale – offre ai produttori una scelta in più. Non solo può sollevare gli operatori integralmente da una serie di attività, ma può anche eseguirle con loro, in stretta collaborazione. La collaborazione uomo-robot dà origine ad applicazioni fino all’85% più produttive rispetto a versioni totalmente automatizzate o integralmente manuali.
Il cobot è quindi uno strumento intelligente pensato per potenziare il lavoro umano e riportare nelle sue mani intere porzioni del processo produttivo.
Quantità e flessibilità non sono incompatibili
I cobot sono più piccoli, leggeri dei robot tradizionali. Questo perché sono stati pensati per essere agevolmente spostati e applicati in diversi punti del layout, rispondendo a un bisogno di flessibilità in produzione. Quindi sono assolutamente perfetti quando avvengono frequenti variazioni nella lunghezza del lotto e del mix produttivo. Questo significa che di fronte a lotti lunghi e scarso mix dovrò fare a meno dei cobot e rassegnarmi all’utilizzo di un’automazione tradizionale? Assolutamente no.
I robot collaborativi possono infatti far fronte anche a scenari produttivi in cui le variabili sono ridotte al lumicino: applicazioni come il machine tending, caratterizzate da alta ripetibilità, sono perfettamente automatizzabili con i cobot. Con il vantaggio che questi non richiedono – previa analisi del rischio – barriere perimetrali di sicurezza.
L’80% dei cobot UR installati nel mondo opera senza recinzioni di sicurezza.
I vantaggi offerti dai cobot sono inoltre:
- le dimensioni compatte
- la facile programmazione
- l’integrazione veloce
- il ROI rapido.
Se è sicuro allora è collaborativo
Pensare che integrare sensori a un robot tradizionale sia sufficiente a farne un’automazione collaborativa è sbagliato. Un robot collaborativo non è soltanto un’automazione sicura, ma molto di più. Un cobot offre semplicità di programmazione e di integrazione, flessibilità operativa, un ritorno economico rapido. Confondere un robot cobotizzato con un cobot nativo è un errore comune e diffuso.
I robot “cobotizzati” sono derivati da robot tradizionali e resi adatti al lavoro in aree aperte grazie alla “pelle” sensorizzata e a una serie di sensori. Intorno a questo tipo di robot cobotizzato sono state sviluppate celle che non sono propriamente collaborative, ma realizzano una qualche forma di coesistenza tra operatore e robot. Queste celle si avvalgono di robot industriali dotati di una sensoristica specifica, sensori laser, volumetrici che controllano i movimenti dell’operatore e che consentono al robot di lavorare senza recinzioni con varie zone di rallentamento a seconda della vicinanza dell’addetto. Le automazioni cobotizzzate arrivano anche ad arrestarsi completamente qualora l’operatore superasse la zona di sicurezza.
Nella robotica effettivamente collaborativa, il robot è in grado di fermarsi (senza arrecare danno) quando si determina un impatto con l’operatore. I vantaggi del robot collaborativo vanno ricercati quindi non solo nella sicurezza insita nell’automazione (che è evidente e consente di fare a meno di recinzioni e barriere, e quindi a conti fatti di realizzare un consistente risparmio) ma soprattutto nella semplicità di integrazione e programmazione, nella possibilità di essere riprogrammato direttamente dagli addetti dell’azienda. Un vantaggio notevole soprattutto per quelle aziende medio piccole che non sempre dispongono, in house, delle competenze necessarie a far fronte alla programmazione di un’automazione tradizionale.
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