Fino a che punto può spingersi la collaborazione fra uomini e robot? Fino a che punto i confini possono essere valicati e le competenze rimescolate? Una risposta ci viene da Hu Robot, performance di danza nata dalla collaborazione fra Universal Robots e Ariella Vidach-AieP, compagnia artistica svizzera creata dalla coreografa Ariella Vidach e dal registra Claudio Prati.
Hu Robot è andato in scena al LAC di Lugano lo scorso 2 novembre. Si tratta di un laboratorio entro cui i due autori, da anni impegnati a esplorare i confini delle possibili interazioni fra uomo e tecnologia, si cimentano nella direzione di un ballerino davvero particolare: il nostro UR10. Insieme a otto giovanissimi membri del Balletto di Roma, UR10 dà vita a complesse coreografie, proiezioni, movimenti. Montato su una pedana al centro della scena, il cobot registra e proietta le immagini che vede, mostrando agli spettatori il suo stesso punto di vista. Al tempo stesso, coreografato sapientemente da Vidach, si muove come un vero e proprio ballerino. .
Lo spettacolo mette in scena un dialogo indiretto, fra l’umano e il suo doppio tecnologico, che esplora e descrive la relazione complessa che viviamo con i robot da un punto di vista dinamico e culturale.
LE BARRIERE CONTINUANO A CADERE
La robotica collaborativa ha abbattuto barriere di diversi tipi. Quelle fisiche innanzitutto, che continuano a separare operatori e automazioni tradizionali, ma anche quelle di impiego: le possibilità applicative della robotica collaborativa si stanno infatti rivelando ogni giorno più numerose. Negli ultimi mesi abbiamo visto robot pizzaioli, robot “benzinai”, robot giardinieri.
Il robot ballerino allarga il punto di vista e il ventaglio di possibilità percorribili ridefinendo ancora una volta ruoli e competenze.
Intendiamoci: un robot collaborativo non sostituirà mai un ballerino, né potrà mai riprodurne espressività, tensione drammatica, interpretazione. Ma potrà collaborare con esso per creare nuovo senso e valore. Esattamente l’intuizione che ha guidato Vidach e Prati nella progettazione di Hu Robot.
UNA COLLABORATIVA...RIVALITA’
«Fra i ballerini e il robot si è subito instaurata una sorta di rivalità» mi confessa Ariella. «Il robot è semplicemente perfetto. La sua perfetta ripetizione di movimenti programmati ha spinto i ballerini a innalzare la propria performance, a migliorarsi».
Credo che da questo inciso si possano derivare due insegnamenti preziosi.
Il primo: ci sono attività che i robot possono fare meglio di noi perché sono progettati per garantire una precisione e una ripetibilità che l’essere umano non è in grado di esprimere. La danza (e l’arte in generale) non sono solo precisione e ripetibilità, ovviamente. Ma l’intento di Hu Robot non è quello di dimostrare che un robot possa danzare meglio di un ballerino, quanto che dalla loro collaborazione possa nascere un senso diverso, con un valore intrinseco.
Il secondo è che i cobot hanno un effetto positivo sul lavoro delle persone. Se sul palco di Hu Robot sono state l’emulazione e la spinta competitiva con UR10 a innalzare la performance dei ballerini, nelle fabbriche i cobot qualificano il lavoro degli operatori permettendo loro di applicarsi in attività in cui esprimere il meglio delle loro qualità “umane”.
DA HAL9000 ALL’UR10, UNA QUESTIONE DI FIDUCIA
L’evoluzione tecnologica che ha accompagnato i cobot negli ultimi 10 anni, ovvero il percorso che li ha resi sempre più sicuri, flessibili, efficienti e in grado di operare a distanze sempre minori rispetto all’uomo, è stato un cammino di acquisizione di fiducia. I cobot, a differenza di altre apparecchiature di automazione, non trasmettono un senso di straniamento e alienazione, non spaventano né mettono a disagio (come il freddo e algido HAL9000 di “2001: Odissea nello spazio”).
Sul palco di Hu Robot si è concretizzato ancora una volta questo cambio di paradigma: attorno a UR10 non vi erano operatori industriali abituati al contatto con l’automazione, ma artisti. Al di là del timore iniziale, tramutatosi presto in collaborazione, non vi è stato scontro fra lato umano e lato tecnologico, ma anzi collaborazione, incontro, dialogo.
Questo credo sia uno dei portati più preziosi della robotica collaborativa. I cobot sono dei veri e propri “mediatori culturali”, perché – pur essendo ritrovati tecnologici altamente sviluppati – sono comprensibili a chiunque e consentono alle imprese di affacciarsi all’automazione con facilità.
È infine importante che la conoscenza della robotica collaborativa si stia diffondendo. Anche se i cobot sono strumenti nati per la produzione e la manifattura, possibilità di impiego che esulino dai classici layout industriali, come quella offerta da Hu Robot, contribuiscono a disseminare consapevolezza e a rendere avvezzi alla nuova tecnologia un numero sempre maggiore di persone.
Se vuoi vedere il video integrale dello spettacolo Hu Robot clicca qui.
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