COME SONO CAMBIATE LE REGOLE DELL'AUTOMAZIONE?
Fin dal suo ingresso nei processi di fabbrica nella seconda metà del secolo scorso l’automazione ha radicalmente cambiato lo scenario produttivo. Produttività, qualità e ripetibilità sono state incrementate esponenzialmente man mano che sul mercato si affacciavano sistemi robotici sempre più performanti, precisi, potenti. Progressivamente un numero sempre maggiore di applicazioni è stato definitivamente affidato all’esecuzione meccanizzata: verniciatura e saldatura, task nelle linee di ferratura dell’automotive e così via.
Questo scenario si è mantenuto pressoché inalterato per anni, con un trend di crescita costante: più robot nell’industria, più potenti, più applicazioni automatizzate. Come contraccolpo il comparto manifatturiero ha vissuto una stagione di impoverimento di competenze. Il massiccio ricorso alla robotica ha reso superflue alcune figure professionali, facendone emergere altre. Tipicamente le figure professionali che sono scomparse sono state quelle dedicate ai compiti meno specializzati e ripetitivi, sui quali l’apporto della robotica è stato decisivo per innalzare qualità e ridurre i costi.
Questo è stato vero fino all’ingresso nel mercato di nuovi modelli produttivi che vedono oggi il consumatore come il vero ago della bilancia. Entrati nell’era della customizzazione di massa l’automazione tradizionale ha mostrato alcuni limiti. Rigidità, difficoltà di programmazione, costo elevato per un mercato che andava frammentandosi in fornitori di primo livello e subcontractor con minor capacità di spesa.
Di fronte a queste nuove sfide l’automazione ha dovuto riscrivere le proprie regole.
Su queste basi, e con la ferrea volontà di poter offrire anche alle PMI una soluzione di automazione accessibile, flessibile, facile da programmare e dal rapido ritorno d’investimento, nel 2008 Universal Robots presentò a mercato il primo modello di robot collaborativo: un UR5 che venne installato all’interno di un’azienda danese. Nasceva la robotica collaborativa, una forma di automazione antropomorfa, con 6 gradi di libertà, lightweight e con cinematica snella, facile da implementare e ancor più da programmare.
Nei 13 anni che seguirono molte delle regole dell’automazione industriale tradizionale vennero riscritte:
- Un’applicazione robotica poteva far fronte a diversi compiti, adattarsi a molteplici linee di prodotto in tempi rapidissimi. Veniva superato il concetto di “rigidità e specializzazione”. Il cobot è infatti uno strumento a-specifico, una quasi macchina che può far fronte a compiti anche molto diversi con la giusta dotazione di end effector e accessori.
- Per programmare un robot non si rendeva più necessario rivolgersi a specialisti: gli operatori stessi dell’azienda potevano con un po’ di pratica dare vita ad applicazioni anche complesse.
- Robot e uomo non devono più stare separati. I cobot hanno calato sul “floor” un nuovo concetto: l’ibridazione/condivisione di spazi e mansioni. Questo perché sono strumenti sicuri, che integrano safety sofisticate e operano con velocità e forza riducibili a seconda del contesto operativo. Così possono operare (previa analisi del rischio) in oltre l’80% dei casi in regime di condivisione di spazio, o comunque senza barriere di protezione.
- La robotica è diventata una soluzione accessibile economicamente e quindi non più destinata esclusivamente ai grandi produttori o gruppi industriali. I cobot hanno scalato verso il basso il concetto di costo dell’automazione, aprendone le porte anche alle imprese più piccole, anche in settori che prima non si erano mai nemmeno interrogati sui possibili benefici.
- La robotica (collaborativa) cessava di erodere il tasso occupazionale, ma anzi creava le condizioni per la crescita della manodopera, numericamente e sotto il profilo delle competenze.
Queste regole sono da intendersi valide per quelle realtà manifatturiere che hanno scelto l’automazione collaborativa. Esistono ancora scenari produttivi che rendono preferibile l’applicazione di una robotica tradizionale. Sono generalmente scenari caratterizzati da grandi volumi, bassa o nulla varietà di prodotto, segregazione di spazi (perché il layout lo permette).
Altre aziende invece, alle prese con lotti corti, stanno scoprendo che i cobot sono una soluzione in grado di garantire gli stessi benefici dell’automazione tradizionale (produttività, coerenza, riduzione dei costi) con molti svantaggi in meno.
Ad esempio hanno capito che un cobot è un investimento in grado di perdurare oltre il ciclo produttivo di un singolo codice prodotto. Il cobot può venir riprogrammato e riapplicato è l’investimento sostenuto dall’azienda si mantiene valido. La rigidità di alcune soluzioni di automazione rende la riprogrammazione un costo insostenibile.
Il cobot può essere installato senza sacrificare porzioni di spazio e anche in condizioni di elevata saturazione (tipica di molte PMI). Anche in questo caso il risparmio è legato sia alle infrastrutture di sicurezza (che diventano superflue) sia al consumo di suolo, da intendersi come bene economico per l’azienda.
Il cobot crea le condizioni per la crescita dell’azienda e delle competenze possedute dai suoi operatori. L’automazione tradizionale, per via della propria complessità, negli anni ha tendenzialmente escluso gli operatori dal processo produttivo. I cobot invece – per le caratteristiche di collaboratività, intuitività e sicurezza intrinseca – hanno riportato l’uomo al centro della fabbrica.
Ma soprattutto hanno posto le condizioni perché le prossime regole dell’automazione possano venire scritte sul campo: da operatori e ingegneri, che finalmente troveranno uno strumento comune.
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