IFR – International Federation of Robotics ha pubblicato lo scorso aprile uno studio sull’impatto che la robotica ha (e avrà) sul mondo del lavoro e sull’occupazione. Lo studio, dal titolo “The Impact of Robots on Productivity, Employment and Jobs”, prende in esame diversi contributi tecnico - economici precedenti. Fra le referenze bibliografiche che il documento IFR annovera, vi sono infatti Why Artificial Intelligence Is the Future of Growth di Accenture, A Future That Works: Automation, Employment and Productivity del McKinsey Global Institute e molti altri, comprese stime e analisi di alcuni dei più importanti istituti bancari del mondo.
Attraverso un’analisi di scenario, lo studio muove fino a definire l’impatto della robotica nei vari settori industriali e arriva a individuare conclusioni comuni valide per le diverse economie nazionali.
Ve ne proponiamo una sintesi.
IN CHE SCENARIO SI MUOVE L’AUTOMAZIONE ROBOTICA?
I volumi relativi alle vendite mostrano un trend in costante crescita, con incrementi in doppia cifra da un anno all’altro. Il parco macchine installato nel mondo viene stimato in 3 milioni di pezzi entro il 2020. Un’ascesa che pare inarrestabile e che genera speranze e timori. Da un lato è sempre più chiaro l’impatto positivo che la robotica ha sulla produzione industriale, con aumenti di produttività in molti settori, snellimento di procedure industriali, maggiore efficienza. Dall’altro questa maggiore diffusione delle tecnologie di automazione, e dei robot in particolare, dà origine a una serie di paure di carattere occupazionale di cui la principale è il cosiddetto paradigma sostitutivo: i robot cancelleranno posti di lavoro?
La ricerca di IFR è da questo punto di vista rassicurante e fuga molti timori.
Emerge infatti che il rischio maggiore per l’occupazione non sia l’ingresso prepotente dell’automazione nel sistema produttivo, quanto piuttosto l’incapacità delle imprese di rimanere costantemente competitive. L’automazione è una risposta a questa incapacità, poiché aumenta la produttività delle aziende e questo consente, infine, di aumentare le assunzioni. È uno scenario che è stato verificato a più riprese. Negli USA ad esempio, i settori a più alto tasso di automazione come l’automotive, il metallurgico, l’elettronica, impiegano - rispetto ai settori meno automatizzati - circa il 20% in più di personale qualificato e quasi il doppio di operatori generici e mostrano trend di crescita continui sulle nuove assunzioni.
UN LAVORO DIVERSO, PIù QUALIFICATO
L’automazione robotica quindi non fagociterà posti di lavoro (anzi creandone di nuovi sulla spinta della maggiore produttività che riuscirà ad imprimere alle aziende), ma avrà effetti diretti sulla loro “qualità”. L’ingresso delle nuove tecnologie in fabbrica genererà una richiesta di profili professionali sempre più qualificati, con skill di alto livello. Le competenze richieste saranno in primo luogo concentrate nelle aree di sapere della tecnica, della matematica, dell’ingegneria. Ma l’impatto più sorprendente lo si vedrà sulla richiesta di competenze in ambito umanistico, relazionale, creativo.
Perché? Le attività in cui i robot mostrano il più alto tasso di efficienza sono quelle caratterizzate da alta ripetitività e basso valore aggiunto, in cui offrono una precisione ineguagliabile per le controparti umane. Queste caratteristiche (che emergono con particolare chiarezza nei robot collaborativi) porteranno ad una redistribuzione più razionale dei compiti fra uomini e robot e offriranno agli operatori la possibilità di applicare skill del tutto diversi: problem solving, empatia, persuasione e in generale creatività. In altre parole i robot finiranno per renderci più umani, almeno nel nostro lavoro.
IL FUTURO È COLLABORATIVO
L’analisi di IFR dedica un capitolo alla robotica collaborativa. I cobot, ultimi arrivati nel vasto mondo della robotica industriale (UR ha immesso il primo braccio robotico collaborativo sul mercato nel 2008) hanno contribuito ad abbattere le barriere che prima separavano nettamente il luogo di lavoro degli operatori da quello delle macchine, dando inizio a quel rimescolamento di competenze di cui parlavamo poco sopra.
I bracci robotici collaborativi sono facili da programmare, flessibili, veloci da integrare. Queste caratteristiche – ampiamente riscontrate dallo studio di IFR – incrementano la produttività delle imprese che li utilizzano.
La robotica collaborativa ha portato all'industria e alle PMI in particolare, un duplice vantaggio.
Da un lato ha permesso anche a piccole e medie imprese di dotarsi di automazioni industriali: le dimensioni e il prezzo contenuto rendono i collaborativi la soluzione ideale per aziende di ogni dimensione, soprattutto in presenza di layout produttivi ingombri e disponibilità economiche limitate.
Dall’altro, in virtù dell’immediatezza di messa in opera, la robotica collaborativa contribuisce a colmare quel gap di competenze che si riscontra in presenza di automazioni tradizionali. Gli operatori, attraverso l’utilizzo dei robot collaborativi, acquisiscono competenze di programmazione e divengono autonomi nelle fasi di implementazione dei robot. I cobot, insomma, contribuiscono a formare profili professionali più qualificati e competenti.
IN CONCLUSIONE
Alla luce dell’analisi, IFR traccia una lista di priorità comuni per le diverse economie industriali.
- È prioritario per le imprese rivedere la propria organizzazione interna per sfruttare appieno i vantaggi derivanti dall’automazione.
- È fondamentale formare gli operatori. Senza formazione adeguata, la spinta innovativa e l’efficienza derivante dall’automazione verranno dispersi.
- La formazione per gli operatori deve essere frutto di una sinergia fra governi e privati. Dall’analisi dei profili professionali che meno incontrano le esigenze di mercato, deve nascere la spinta per una loro riqualificazione. Mercato e decisore politico devono parlarsi per individuare i percorsi formativi più efficaci.
- I governi dovranno dotarsi di strumenti adeguati a supportare l’adozione di queste tecnologie, lasciando da parte proposte come la tassazione sulla robotica (a che pro tassare uno strumento che genera valore, crea posti di lavoro e riqualifica quelli in essere?)
- I percorsi scolastici devono focalizzarsi sull’incrementare il sapere negli ambiti tecnici, matematici, ingegneristici, ma anche in quelli umanistici dove si coltivano competenze sempre più preziose come problem solving, capacità relazionali, creative e persuasive.
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