Il paradigma della flessibilità è forse la differenza più evidente fra un’automazione di tipo tradizionale e una di tipo collaborativo. I cobot si caratterizzano infatti per dimensioni più piccole, peso e ingombro alla base minori, rispetto ai robot tradizionali. Queste caratteristiche fisiche generano un primo tipo di flessibilità: la possibilità di spostare – agevolmente – il cobot all’interno del layout. Il più pesante della gamma – UR10, 10 kg di payload e 1300 mm di raggio operativo – pesa circa 33 kg. Ma questo tipo di flessibilità, ovvero la possibilità di applicare l’automazione dove ve n’è bisogno spostandola come uno strumento di lavoro, non offrirebbe un gran valore se non associata ad un secondo tipo di flessibilità, quella che deriva dalla semplicità di programmazione e installazione, che fa sì che il cobot risponda con prontezza ai bisogni produttivi. Programmazione drag and drop con template ad albero e controller derivato da computer, wizard che agevolano il set up di applicazioni specifiche, integrazione plu&play di molti EOAT, fanno dei robot strumenti dalla pronta risposta.
Date queste caratteristiche “naturali” dei cobot, come è possibile per un’azienda ottenere una produzione flessibile? È sufficiente implementare un’automazione collaborativa per ottenere una produzione flessibile? No.
RIPENSARE LA PRODUZIONE INTORNO AL COBOT
Per arrivare ad avere un sistema davvero in grado di rispondere con velocità ai cambiamenti di scenario produttivo è necessario ripensare la produzione attorno al cobot, uno strumento che è in grado sia di qualificare il lavoro dell’operatore – mallevandolo dalle attività più faticose, ripetitive e scarsamente ergonomiche – sia di riportare l’uomo stesso al centro del processo come controllore di esso. Con questa premessa – che rappresenta un cambio di passo soprattutto culturale – è possibile ripensare il flusso produttivo. Qualche esempio.
Nortura, azienda del food svedese, doveva implementare una cella robotica per le attività connesse al fine linea dei suoi prodotti, packaging e pallettizing. La scelta era: realizzare una cella fissa, circondata da barriere e con un robot antropomorfo, segregando una porzione di spazio e destinandolo di fatto solo a quell’applicazione, oppure sviluppare un sistema collaborativo per svolgere il task.
Nortura ha scelto la seconda strada. L’applicazione consta di un sistema di visione installato a soffitto e di un cobot UR10. Sul floor è stata delimitata un’area (con della semplice vernice) in cui vengono posizionati i pallet. Quando uno di essi occupa lo spazio delimitato a terra, il sistema di visione lo registra e attiva il cobot che inizia la pallettizzazione secondo un pattern predefinito. Quando il pallet è completo il cobot torna in posizione di riposo. Questo tipo di installazione offre diversi vantaggi. Da un lato non vi sono barriere che “rubano” spazio operativo, dall’altro il cobot non impegnato nella pallettizzazione può essere destinato ad altre applicazioni.
Ci sono casi invece in cui la flessibilità non è tanto un obiettivo da raggiungere quanto una condizione produttiva assodata. È il caso delle aziende che operano su lotti corti. La flessibilità gioca un ruolo chiave nella gestione di questo tipo di produzione. Anche in questo caso i cobot sono una soluzione praticabile con vantaggio dalle imprese. Offrono infatti tempi di riprogrammazione quanto mai brevi che consentono agli addetti di linea di settare il braccio robotico a seconda del prodotto in lavorazione in tempi rapidi. Un esempio di questo tipo di produzione – necessariamente flessibile – è quello messo in atto da RNB Cosmeticos, azienda cosmetica spagnola che doveva gestire il fine linea di oltre 350 prodotti diversi. Automatizzare il packaging o il packing di una così gran varietà di prodotti sarebbe stato estremamente complesso (e antieconomico) con un robot di tipo tradizionale. Grazie ai cobot RNB è stata invece capace di gestire la fase in modo flessibile e rapido, senza ricorrere a tecnici esterni.
Un altro esempio di processo flessibile che è possibile ottenere con i cobot viene dall’esperienza di EVCO Plastics, azienda statunitense attiva nel settore della plastica. EVCO, per rispondere alle molte esigenze di automazione della sua produzione, ha integrati cobot su carrelli mobili e li sposta laddove ve ne è veramente bisogno arrivando ad automatizzare molte diverse applicazioni: machine tending della pressa a iniezione, packagin, pallettizzazione, pick&place.
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