IL RUOLO DEI ROBOT E IL CAMBIAMENTO DEL LAVORO UMANO
I robot sono parte della nostra cultura popolare. Sono entrati nei libri, nei film, in diverse opere d’arte, ritratti a volte come minacce per l’incolumità dell’uomo, a volte come eroi pronti a salvargli la vita ed essere compagni delle sue avventure (pensate solo a R2 D2 e D3BO di Star Wars e al ruolo fondamentale che svolgono durante l’intera saga).
Ma oggi i robot non sono più oggetti immaginari, bensì protagonisti concreti, reali, della vita delle nostre fabbriche, dei nostri centri produttivi. Luoghi in cui condividono spazi e attività con l’uomo.
I robot ottengono spesso “buona stampa” quando si analizza la loro capacità di aumentare la produttività, di aiutare le imprese – specie le più piccole - a competere con i rivali più grandi e di consentire agli operatori di passare da compiti ripetitivi e noiosi a lavori più interessanti.
Accanto a questi “casi di successo” non è tuttavia infrequente trovare articoli, su media di ogni tipo, in cui sono a volte sospettati, molto più spesso accusati, di rubare i posti di lavoro.
Ma qual è dunque la relazione fra robot – in particolare robot collaborativi, che sono ciò che Universal Robots produce – e il lavoro umano.
Facciamo una premessa sostanziale. Quando un robot è collaborativo – e Universal Robots produce “solo” quelli – non è progettato per sostituire gli operatori, ma per supportarli automatizzando le attività più noiose, ripetitive, ergonomicamente svantaggiose.
La paura che accompagna l’introduzione di ogni nuova tecnologia, dal treno a vapore al computer, viene definita “timore da subentro”, ovvero il timore che accompagna l’uomo che teme di perdere il proprio lavoro perché sostituito da una macchina, più veloce, efficiente, che non necessità di pause, interruzioni. Che non si ammala.
Una preoccupazione che i difensori della robotica a ogni costo respingono fortemente, sostenendo che l’introduzione di nuove forme di tecnologia produca in realtà nuovi posti di lavoro.
I fatti certi, al di là delle legittime opinioni, sono due: la maggior parte dei lavori richiede competenze umane uniche e recenti studi[1] suggeriscono che meno del 10% dei posti di lavoro possa in realtà essere completamente automatizzato, limitando così il numero di posti di lavoro che i robot potrebbero effettivamente rubare agli operatori.
Il secondo fatto è che la domanda di bracci robotici collaborativi – quindi di robot che si affiancano all’uomo per sostenerne le attività e non per sostituirlo - sta crescendo più velocemente della domanda di robot industriali tradizionali. BIS Research prevede che il mercato dei robot collaborativi raggiungerà i 2 miliardi di dollari di dimensione entro il 2022.
Da questo è piuttosto semplice dedurre che la prospettiva più probabile per il mondo manifatturiero e produttivo in genere, è quella che vede una compresenza collaborativa fra uomini e macchine, piuttosto che una sostituzione delle une rispetto agli altri.
E cosa accadrà invece al quel ristretto ambito di attività (quella percentuale inferiore al 10% idonea ad una completa automazione) che si rileverà invece più efficiente se svolta da un robot? È probabile che l’integrazione robotica in quei ristretti settori porterà alla scomparsa di alcune figure lavorative. È altrettanto probabile però, e in questo la storia industriale della produzione del personal computer è esemplare, che la robotica stessa genererà essa stessa nuovi posti di lavoro, renderà necessarie nuove figure che sappiano comprenderne le dinamiche, renderà certi percorsi formativi prioritari rispetto ad altri creando, in breve, un mercato del lavoro diretto ed uno indotto legato ad essa.
Le ricerche e gli studi ci dicono che il saldo lavorativo sarà positivo e che, anzi, la qualità media del lavoro migliorerà, applicando le risorse umane sempre più su attività che richiedono senso critico, manageriale, capacità di relazione e creatività.
Un altro indicatore interessante è quello che emerge da semplici analisi di mercato e che riguarda il gradimento crescente di cui godono prodotti personalizzati e sviluppati sulle specificità del cliente finale. Sono un ulteriore conferma che il lavoro umano, con il suo apporto creativo e organizzativo, è – e sarà – sempre più necessario e insostituibile.
L’uomo tornerà al centro della fabbrica.
[1] Arntz, Melanie, Terry Gregory, and Ulrich Zierahn. 2016. “The Risk of Automation for Jobs in OECD Countries: A Comparative Analysis”. OECD Social, Employment and Migration Working Paper No. 189, Paris: OECD Publishing
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