La robotica applicata in ambiente destrutturato (ovvero al di fuori del classico contesto manifatturiero, strutturato e regolato per includere l’automazione) è stata al centro della riflessione e della sperimentazione dell’ultima edizione dello European Robotics Forum di Rimini.
In particolare, gruppi di esperti programmatori, hanno animato una challenge applicativa intesa a sviluppare un sistema robotizzato per l’harvesting, la raccolta di frutta e ortaggi, attraverso i cobot di Universal Robots. L’automazione dell’ambiente agricolo è infatti una delle principali terra di frontiera in cui la ricerca e lo sviluppo di automazione sta destinando le proprie attenzioni e fondi.
Da un lato perché si tratta di un settore tradizionalmente poco avvezzo all’innovazione, dall’altro perché il tema della sostenibilità dei processi agricoli (e quello connesso della sfida alimentare globale) sono al centro dell’agenda politica.
Di sfide applicative, del contesto specifico del settore e dei temi della sostenibilità, abbiamo parlato con Lorenzo Marconi, Professore di controlli automatici presso l’Università di Bologna e fra gli organizzatori dell’ERF di Rimini.
Quali sono le sfide principali per la robotica in ambiente non strutturato?
Da un punto di vista tecnico la sfida principale per le soluzioni di automazione in outdoor è quella della robustezza. Intesa non solo come robustezza strutturale (qui certamente messa a dura prova da ambienti ben poco favorevoli all’elettronica) ma anche come robustezza della percezione. Qualunque algoritmo di navigazione, percezione, controllo e manipolazione, deve fronteggiare in outdoor ambiti solo parzialmente strutturati, con molte variabili diverse. Tutte le condizioni controllate in ambito indoor sono assenti in ambito agricolo e le condizioni operative sono molto sfidanti. A cominciare, per esempio, dalle condizioni di illuminazione, che possono ostacolare la percezione visiva dei sensori. C’è poi una seconda sfida: i terreni su cui opera la robotica outdoor sono poco amichevoli. La soluzione di automazione deve potersi spostare su terreni erbosi, fangosi, accidentati. Infine, c’è una sfida infrastrutturale: l’automazione outdoor ha bisogno di elettrificazione.
Quali sono le altre sfide infrastrutturali oltre a quella dell’approvvigionamento energetico?
Certamente quelle relative alle telecomunicazioni e alla connessione. In outdoor non arriva il cavo LAN e c’è quindi un serio problema di trasmissione della connessione lungo il miglio finale. Le tecnologie wireless, e in particolare il 5G, stanno dando un apporto prezioso. Ciò non toglie che il tema dell’elettrificazione resti il principale ostacolo, e soprattutto di quale elettrificazione. Una generazione di potenza centralizzata, con centinaia di metri di cavo in pieno campo, è pericolosa. Credo che piccole centrali low power dislocate in punti diversi del campo sarebbe più sicure e utili. C’è un caso studio proprio dell’Università di Bologna che ha dimostrato che con appena 20 metri quadri di pannelli fotovoltaici in campo, si otterrebbe l’indipendenza energetica di un ettaro di frutteto.
Siamo anche di fronte a un settore tradizionalmente poco propenso a investire in innovazione…
Esatto. Per chi sviluppa soluzioni innovative in questo settore c’è sempre da considerare l’aspetto della convenienza economica: non ci si può assolutamente permettere di proporre soluzioni di elettrificazione e di automazione che non siamo appetibili e immediatamente vantaggiose in termini di ritorno economico. Il settore primario è tradizionalista, con alle spalle secoli di pratiche manuali e solo nell’ultimo secolo parzialmente meccanizzate. Introdurre la robotica è come un salto quantico, per questo è fondamentale dimostrare che si tratta di strumenti utili, quando non necessario, e che il costo sia abbordabile. C’è poi un ulteriore aspetto da considerare. Gli alfieri dell’innovazione in questo settore (i vari John Deere, New Holland, ecc), che potrebbero giocare un ruolo fondamentale di testimonial del vantaggio dell’innovazione robotica, basano la stragrande parte del fatturato sulle macchine agricole tradizionali. Le realtà davvero innovative sono poche, piccole e non godono ancora del credito di affidabilità e fiducia di cui godono i big player del settore.
Quindi che percorso dovrebbe seguire l’innovazione in questo settore?
Nella mia esperienza l’innovazione deve essere sviluppata dal basso, ascoltando quelle che sono le reali esigenze degli operatori. Di cosa ha bisogno un imprenditore agricolo oggi? Quale motivazione emerge da chi possiede terreni e produce in prima persona? Partendo da qui si può avere la ragionevole certezza di offrire al mercato almeno una soluzione utile, da prendere in considerazione. Ci sono poi motivazioni che hanno una presa diversa a seconda dell’età anagrafica. Per le vecchie generazioni il tema della sostenibilità (di cui la robotica potrebbe divenire un pilastro in termini di resa delle coltivazioni, tutela dell’ambiente tutela sociale) è poco sentito. Le generazioni più giovani sono invece molto più propense a ragionare in prospettiva e a considerare questo aspetto come una leva di sviluppo.
Partendo quindi dal basso, di cosa ha bisogno il settore agricolo oggi?
Tutto il settore soffre un’acuta carenza di personale. Lo shortage è la sfida principale. Parliamo della mia regione, l’Emilia Romagna, una delle più avanzate in termini di produzione agricola. Ebbene, alcuni settori, come quello delle pere, stanno soffrendo parecchio. Nella pericoltura assistiamo letteralmente alla sparizione di ettari di produzione, tanto per ragioni fitosanitarie quanto per carenza di personale. Eppure, la robotica potrebbe “dare un mano” in entrambi i casi. Facciamo un esempio pratico, di quella che è una delle principali applicazioni allo studio: la robotica in pieno campo. Con un rover in campo 24/24 l’agricoltore avrebbe un monitoraggio costante delle condizioni di umidità delle coltivazioni, delle eventuali malattie e dei problemi della coltivazione. Questo porterebbe ad abbandonare l’approccio preventivo della chimica in campo, a favore – invece – di un’agricoltura di precisione, mirata, in cui (sulla base di dati oggettivi forniti dall’automazione) è possibile intervenire solo quando serve, solo dove serve. È ovvio il risvolto ambientale di un approccio come questo. Senza contare che le soluzioni di ultima generazione sono molto più leggere delle classiche macchine agricole e riducono enormemente il rischio di un eccessivo compattamento del terreno.
Passiamo al tema della challenge di Rimini: l’harvesting. Quali sono le soluzioni attualmente allo studio?
Molta ricerca si sta concentrando proprio sul tema della percezione con telecamere. In alcune coltivazioni il colore è un proxy adeguato e affidabile per definire il corretto grado di maturazione. In altri casi il sistema di visione viene utilizzato per il conteggio dei frutti sulla pianta (e quindi per avere una valutazione della produttività della coltivazione), oppure per calibrare la frutta/verdura e distinguere quindi i prodotti di primo taglio da quelli di minore qualità. Un driver di ricerca e sviluppo su cui si sta investendo molto è quello del grasping, ovvero come frutta e verdura viene separata dai raspi dopo il raccolto. Se nel caso del kiwi la sfida è poco complessa (viene raccolto acerbo e quindi duro) nelle pere, per tornare al tema di prima, è necessaria una presa molto delicata. Però attenzione a porre l’accento solo sulla quantità e sulla produttività. È un paradigma che non funziona più se poi la scarsa qualità riduce le vendite. La robotica potrebbe bilanciare efficacemente la necessità di produrre di più con quella di produrre in qualità.
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