Bruno Siciliano è uno dei luminari della robotica italiana, con decine di studi alle spalle e collaborazioni con molte università tecniche.
Ed è anche una persona di straordinaria simpatia. La nostra chiacchierata, iniziata sotto i più nobili auspici del rinascimento digitale, si è conclusa parlando di Maradona e di Napoli, due dei suoi grandi amori.
Livelli di fantasia e creatività a cui la robotica non arriva. Non ancora per lo meno.
PROFESSORE CHE RUOLO IMMAGINA PER LA ROBOTICA NEL PROSSIMO FUTURO? QUALI ORIZZONTI DI SVILUPPO PREVEDE O AUSPICA?
Voglio osare non limitandomi a dare una risposta di circostanza.
Quanto sto per dirle l’ho condiviso non solo con esperti di robotica, ma anche sociologi e con altri attenti osservatori dell’evoluzione della società.
Io credo che grazie alla robotica e ad alcune tecnologie abilitanti (fra cui l’I.A.) noi abbiamo la chance di dare vita a una nuova fase dell’esistenza, caratterizzata dal digitale, ma con l’uomo nuovamente al centro.
Un umanesimo digitale se vuole, un Rinascimento caratterizzato da tecnologie in grado di essere compagne dell’uomo, non sostitute, né nemiche, ma alleate.
Così come abbiamo sperimentato con internet e altre tecnologie che hanno semplificato la nostra vita, i robot ci porteranno ad avere a disposizione uno strumento che ci dispenserà da alcune mansioni fisiche sgradevoli. Ora possiamo fare molte cose più comodamente e con più semplicità grazie alla tecnologia. Penso a prenotazioni, viaggi, acquisti.
Lo stesso avverrà con i robot: ci aiuteranno a svolgere mansioni fisiche faticose, con maggiore semplicità, lasciandoci più tempo a disposizione per esprimere la nostra creatività.
Con la tecnologia abbiamo la possibilità di dare vita a una realtà digitale estesa, che oltrepassi i nostri confini.
Questa è la mia visione. Se mi avesse posto la stessa domanda 5 anni fa sarei stato molto più cauto.
Nella mia esperienza all’interno di PMI e grandi aziende notavo infatti che la robotica ero uno strumento utilizzato per risolvere problemi spicci.
Ora lo scenario è cambiato e riusciamo a sfruttare meglio le possibilità offerte dalla robotica.
C’è fermento, innovazione, si giocano con la robotica sfide complesse come quelle connesse alla manipolazione dinamica, si fa ricerca e sviluppo. Questo è lo specchio di ciò che è avvenuto negli ultimi cinque anni in Italia.
SECONDO LEI QUALI ATTORI DEVONO ENTRARE IN CAMPO PER ADEGUARE L’OFFERTA FORMATIVA E RENDERE LE COMPETENZE POSSEDUTE DAI NEOLAUREATI IMMEDIATAMENTE SPENDIBILI NEL MONDO DEL LAVORO IN AMBITO INDUSTRIALE? E IN CHE MODO IMMAGINA CHE TALI ATTORI DEBBANO AGIRE SINERGICAMENTE?
Non è una domanda a cui è semplice rispondere.
In Italia i corsi universitari di ingegneria dell’automazione e ingegneria della robotica sono molto professionalizzanti, con tassi di job placement che sfiorano il 100%.
La nostra università è in grado di fornire un’eccellente preparazione di base interdisciplinare, che tocca diversi ambiti, dall’ICT alla meccatronica e sforna neolaureati in grado di adattarsi con flessibilità al mercato e alle sue esigenze.
Esistono anche percorsi più specifici, ancora più professionalizzanti.
Penso ad esempio alla laurea breve in ingegneria meccatronica che abbiamo sviluppato in partnership con l’Università di Bologna.
Un percorso destinato a creare profili fortemente orientati all’ingresso nel mondo del lavoro. Continuo però a credere che una formazione di base, ampia, multidisciplinare, offra più occasioni.
FRA I LAVORATORI SECONDO LEI È ANCORA VIVO IL TIMORE DEL “PARADIGMA SOSTITUTIVO” E DELLA POSSIBILE PERDITA DI POSTI DI LAVORO A CAUSA DELL’AUTOMAZIONE? COME DEVONO AGIRE LE AZIENDE PER COMUNICARE LA TRANSIZIONE TECNOLOGICA E RENDERLA PIÙ SOCIALMENTE SOSTENIBILE?
Mi rendo conto che sia un luogo comune diffuso e duro a morire. Inutile appellarsi agli studi, che pure sono tanti e a più riprese hanno confutato lo scenario sostitutivo. Portiamo esempi concreti.
Amazon, uno dei giganti digitali del secolo. Ha introdotto nell’ultimo anno quasi 500mila robot.
La maggior efficienza e produttività hanno creato quasi 700mila posti di lavoro nella programmazione, gestione logistica, gestione di processo. Abbiamo tolto gli esseri umani dal sollevare scatole e li abbiamo messi a gestire il flusso produttivo.
Quindi il saldo occupazionale è positivo quantitativamente e qualitativamente, poiché abbiamo sollevato gli operatori dall’eseguire mansioni che sono usuranti, che a lungo andare creano disturbi muscolo scheletrici.
Un altro esempio è quello che è avvenuto in DM, la catena di supermercati tedeschi, che ha introdotto alcuni AGV nel riassortimento degli scaffali.
Un’attività prima svolta dagli operatori, che ora possono occuparsi del rapporto con la clientela, delle relazioni con il pubblico. Un passaggio visto con favore anche dal sindacato.
Se il lavoro cambia grazie alla robotica, e cambia in meglio, perché opporsi? Il cambiamento non può essere fermato, va guidato però e la formazione è un passaggio fondamentale.
L’ADEGUAMENTO DI COMPETENZE È UN PASSO NECESSARIO – MA SUFFICIENTE? – PER RENDERE LA TRANSIZIONE TECNOLOGICA PIÙ SOSTENIBILE PER I LAVORATORI?
Una volta c’erano skills che si acquisivano e si spendevano per una carriera intera. Ora il mondo è così veloce, dinamico, che è necessario inserirsi in percorsi di formazione continua per stare al passo.
Penso ai corsi MOOC (Massive Online Open Course), un paradigma formativo basato sul web learning.
Si tratta di strumenti quanto mai necessari in questi anni, che trovano applicazione anche in Italia.
Penso a federica.eu, la piattaforma di web learning della Federico II, una fra le dieci più attive a livello europeo.
Se protocolli come il MOOC sono adatti a chi esce da un percorso di studi o lavora da poco con un bagaglio di conoscenze teoriche ancora attuale, come comportarsi invece con chi è in fabbrica da anni? Con chi non si forma da tempo?
Da un lato abbiamo il giovane infarcito di digital culture e dall’altra il tornitore esperto. Convivono all’interno della stessa fabbrica e hanno bisogno di imparare l’uno dall’altro.
Perché se il primo (il giovane, ndr) saprà come programmare un robot per asservire un tornio o un centro di lavoro, il secondo avrà invece il know how e l’esperienza per valutare il lavoro del robot e della macchina e soprattutto il livello qualitativo del prodotto.
In questo spazio vanno inserite le competenze accumulate, sono un’eredità preziosa che va messa a valore anche nell’era digitale.
L’esperienza decennale del tornitore servirà al giovane programmatore per customizzare i processi automatici della macchina, renderli più efficace, innalzare la qualità del bene lavorato.
Deve esserci sinergia in questo senso, capacità di cooperare. Questo è secondo me lo scenario futuro dell’automazione collaborativa: la macchina impara dall’uomo. L’uomo assicura un controllo flessibile e dinamico.
Salutandoci dopo questo confronto davvero interessante, il professore mi augura un “Buon Natale”. Siamo al 30 di ottobre e glielo faccio notare.
“Ma noi a Napoli il giorno del compleanno di Diego Armando Maradona ci facciamo gli auguri di Natale. I regali più belli ce li ha portati lui”. Magari la prossima volta approfondiremo questa sua passione. Come detto una fantasia e una creatività che la robotica (ancora) non può riprodurre.