Trait d’union: Persona che fa da intermediario o da anello di congiunzione; elemento, fatto che costituisce o istituisce un rapporto, un collegamento tra altri fatti o situazioni.
La definizione, tratta dall’enciclopedia Treccani, si adatta quanto mai bene alla realtà di Artes 4.0 centro di competenza toscano che nasce per associare partner universitari, enti di ricerca, istituti di formazione ad elevata qualificazione, fondazioni, enti del terzo settore, società ed enti no profit ma anche associazioni e aziende innovative, al fine di trasferire conoscenze tecnologiche alle imprese, formazione e competenze teoriche.
«Artes 4.0 è forse il centro di competenza che più di altri guarda alla robotica come tecnologia portante per lo sviluppo.
Dal nostro osservatorio vediamo come i robot siano ormai asset presenti nel quotidiano delle persone, al loro servizio nel rendere più semplici ed efficienti molteplici aspetti della vita privata e professionale.
Per come la vediamo noi la robotica fa sempre meno paura e viene sempre più vista come uno strumento necessario.
Dirò di più: lo scenario che vediamo delinearsi è quello della collaborazione fra uomo e robot, dell’interazione. Quindi un’evoluzione sinergica del modo di produrre».
CHE PERCEZIONE HA DELLA PREPARAZIONE DELLE AZIENDE ITALIANE RISPETTO ALLA NUOVA TECNOLOGIA? C’È UN GAP DI COMPETENZE DA COLMARE?
«Noi collaboriamo con due diverse tipologie di soggetti: da un lato le multinazionali, dotate di risorse e competenze in grado di dispiegare decisioni razionali e ponderate sull’implementazione dei robot.
Dall’ altro le PMI, che di queste competenze sono ancora in larga parte prive e che quindi non si approcciano alla robotica con una fondata strategia di valutazione costi benefici, ma che in questo momento “inseguono” il trend tecnologico cercando di fare di necessità virtù.
I due ostacoli principali secondo me sono legati al tema della collaborazione e della digitalizzazione. La collaborazione vera – in cui uomo e robot sono pienamente sinergici – è ancora da sviluppare con compiutezza.
Il tema della digitalizzazione è invece un tema “storico” con cui personalmente mi scontro almeno dal 2012.
I tecnici digitali spesso non capiscono a fondo le dinamiche di una fabbrica, così come le fabbriche ancora non colgono i vantaggi della digitalizzazione dei processi.
In questo momento servono più che mai traduttori, professionalità in grado di applicare il tema digital alla quotidianità della manifattura, in grado di far parlare i due mondi».
SECONDO LEI QUALI ATTORI DEVONO ENTRARE IN CAMPO PER ADEGUARE L’OFFERTA FORMATIVA E RENDERE LE COMPETENZE POSSEDUTE DAI NEOLAUREATI IMMEDIATAMENTE SPENDIBILI NEL MONDO DEL LAVORO IN AMBITO INDUSTRIALE? E IN CHE MODO IMMAGINA CHE TALI ATTORI DEBBANO AGIRE SINERGICAMENTE?
«E perché limitare la riflessione solo ai laureati? In Toscana abbiamo l’esempio degli ITS, istituti tecnici post diploma che offrono formazione curriculare molto orientata alla pratica: nei loro laboratori trovano posto demo di applicazioni industriali su cui i neo diplomati possono sperimentare e toccare con mano cosa significa avere a che fare con le tecnologie produttive.
Gli ITS incarnano alla perfezione la sintesi fra formazione e mercato. Da una parte nascono su mandato degli istituti tecnici industriali, dall’altro intercettano i bisogni delle aziende, contribuendo alla formazione di professionalità richieste con immediatezza dal mercato del lavoro.
I tassi di placement sono altissimi. La laurea invece sconta sempre la grossa carenza della formazione pratica. Possibili soluzioni? Rendere più operativi i laureandi già durante il percorso universitario, anticipare il bisogno espresso dal mercato creando profili immediatamente spendibili.
E non parlo solo di profili ingegneristici. Oggi l’industria ha anche bisogno di altre figure formate in modo trascversale: per esempio l’Università di Siena ha appena lanciato un percorso in biotecnologie che ha tanti elementi di tecnologia e informatica al suo interno.
Inoltre la popolazione “di fabbrica” è invecchiata dal punto di vista formativo e ha necessità di un reskilling per restare operativa. Al tempo stesso, però, allungare l’età lavorativa degli operatori significa irrigidire ancora di più il sistema e precluderlo ai giovani.
Per non parlare della questione femminile: reskilling di operatori di età elevata e impiego femminile sono dilemmi sociali che in Italia non trovano ancora una valida risposta a livello macroeconomico. Parlare di nuove tecnologie vuol dire anche porsi questi problemi e capire chi userà le tecnologie dell’industria».
FRA I LAVORATORI SECONDO LEI È ANCORA VIVO IL TIMORE DEL “PARADIGMA SOSTITUTIVO” E DELLA POSSIBILE PERDITA DI POSTI DI LAVORO A CAUSA DELL’AUTOMAZIONE? COME DEVONO AGIRE LE AZIENDE PER COMUNICARE LA TRANSIZIONE TECNOLOGICA E RENDERLA PIÙ SOCIALMENTE SOSTENIBILE?
«Credo che oggi più che mai sia necessario adeguare le competenze tramite l’innovazione.
Formazione e ricerca innovativa devono andare di pari passo. Non può esserci innovazione senza formazione e non si crea una competenza efficace su basi tecnologiche superate.
È anche un tema di contemporaneità fra strumenti a disposizione e conoscenze. In questo vedo anche l’importanza del nostro lavoro e di quello degli altri centri di competenza: mettiamo a sistema gli ultimi ritrovati della ricerca e li rendiamo disponibili all’uso per chi ogni giorno lavora e produce».
L’ADEGUAMENTO DI COMPETENZE È UN PASSO NECESSARIO – MA SUFFICIENTE? – PER RENDERE LA TRANSIZIONE TECNOLOGICA PIÙ SOSTENIBILE?
«Credo che oggi più che mai sia necessario adeguare le competenze tramite l’innovazione. Formazione e ricerca innovativa devono andare di pari passo.
Non può esserci innovazione senza formazione e non si crea una competenza efficace su basi tecnologiche superate.
È anche un tema di contemporaneità fra strumenti a disposizione e conoscenze. In questo vedo anche l’importanza del nostro lavoro e di quello di altri centri di competenza.
Mettiamo a sistema gli ultimi ritrovati della ricerca e li rendiamo disponibili all’uso per chi ogni giorno lavora e produce».