2005 – 2020. In 15 anni i robot collaborativi sono passati dall’essere un pioneristico esperimento della facoltà di robotica dell’Università di Odense, a tecnologia di automazione riconosciuta e – benchè ancora con numeri non paragonabili a quelli dell’automazione tradizionale – sempre più utilizzata.
L’industria automobilistica rimane il maggiore utilizzatore mondiale di robot, con una quota di quasi il 30% dell’offerta totale. Il 79% delle installazioni di robot industriali ha avuto luogo in cinque mercati chiave: Cina (39.351 unità), Giappone (17.346 unità), Germania (15.673 unità), Stati Uniti (15.246 unità) e Repubblica di Corea (11.034 unità).
Italia terra di robotica: secondo mercato europeo dopo la Germania con quasi 10 mila robot venduti e una crescita del 27% degli ordinativi. E i robot collaborativi quanto occupano di questa fetta di mercato? Quanto e come vengono giudicati dalle aziende italiane?
Una soluzione ancora da esplorare a fondo
Nonostante una forte attenzione mediatica verso i cobot, il numero di unità installate è ancora basso, con una quota del 3,24%, infatti nel 2018 meno di 14mila degli oltre 422mila robot industriali installati erano cobot. Anche in questo caso, dobbiamo comunque registrare un trend in forte crescita, in quanto dal 2017 al 2018, le installazioni annuali di cobot sono aumentate del 23%. Infine, analizzando la densità di robot, l’Europa ha il più alto livello mondiale, con 106 robot per 10mila dipendenti, installati nell’industria manifatturiera: Germania (al terzo posto), Svezia (al quinto), Danimarca (sesto), Belgio (nono) e Italia (decimo) sono tutti tra i primi dieci. Rimane quindi una larga fetta del mercato che va esplorato. Che percezione hanno le aziende italiane rispetto ai cobot?
Una questione di percezione
Lo scorso anno abbiamo intervistato i distributori della rete di UR e un buon numero di system integrator, professionisti dell’automazione che più di altri hanno il polso della situazione. Pur non avendo la presunzione di ritenere esaustivo il campione intervistato (rispetto alla totalità del mercato) un dato è emerso da quelle interviste: le aziende hanno ancora una percezione per certi versi parziale dei cobot. Riconoscono alla tecnologia collaborativa i vantaggi che le sono propri (flessibilità, semplicità di programmazione e installazione, ritorno rapido dell’investimento). Ciò che ancora si stenta ad apprezzare fino in fondo è la loro trasversalità e versatilità, la capacità di agire su diversi e numerosi settori industriali, così come sulla presso che totalità delle applicazioni produttive.
A primo acchito molte aziende – valutando le dimensioni dei cobot – li considerano strumenti fragili, inadatti alla severità dell’ambiente industriale. Così non è. I cobot UR possono ad esempio trovare spazio in applicazioni anche molto impattanti, dallo stampaggio alla saldatura, dall’asservimento macchine alla lavorazione meccanica. L’innalzamento progressivo dei livelli di payload ha poi allargato il campo applicativo verso applicazioni “pesanti” prima non ipotizzabili. È quindi un falso pregiudizio quello che vede i cobot come automazione robotiche “in minore”, fragili e semi ludiche. Si tratta anzi di strumenti la cui resistenza è ormai comprovata (e certificata, vista l’ulteriore estensione di garanzia che UR ha applicato ai suoi robot).
Sono quindi indispensabili, ai fine di una compiuta alfabetizzazione co-robotica, seminari, corsi, demo e quanto altro possa testimoniare la robustezza oltre che la versatilità dei cobot. Non è un caso se Universal Robots è in prima linea su questi temi proponendo (primo e sinora unico player del settore) un’offerta formativa fra le più complete e strutturate.
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