Nascita della robotica industriale
I robot sono ormai parte integrante e insostituibile in molte attività produttive. Nonostante siano una tecnologia piuttosto recente, la loro evoluzione è stata veloce e ha portato a molti diversi esiti.
Il primo modello di robot industriale fu sviluppato nel 1959 da Devol e Engelberger: era un’automazione del peso di oltre 2 tonnellate, lenta, ingombrante e imprecisa se paragonata ai robot odieri. A Engelberger, per i meriti e la ricerca pioneristica in ambito robotico, è stato in seguito intitolato l’omonimo premio, assegnato nel 2018 al cofondatore di Universal Robots Esben Østergaard.
La prima installazione in una linea industriale avviene nel 1961 alla GM Ternstedt a Trenton, nel New Jersey. Alla fine degli anni ’60 i robot industriali approdano anche in Europa e inizia una diffusione concreta di questo strumento. Tuttavia, si tratta di strutture di acciaio con motori idraulici lenti ed imprecisi. All’inizio degli anni ’70 la robotica sbarca in Italia, dove la FIAT li implementa nei processi di saldatura e assemblaggio delle scocche. L’automotive è stato quindi il settore trainante per la diffusione massiva della robotica in ambito industriale. E questo perché più di altri è caratterizzato da processi ripetitivi, da una richiesta di qualità e ripetibilità molto elevata e dalla necessità di assicurare volumi produttivi costanti.
In seguito i robot divennero sempre più compatti, versatili e precisi e furono applicati in un numero sempre maggiore di processi, che oggi includono l’asservimento di centri di lavorio e macchine utensili, l’assemblaggio di precisione, la manipolazione, la foratura, le attività di asportazione di materiale, la finitura, la verniciatura, eccetera.
La definizione – una delle possibili – più comunemente accettata è quella riportata nella norma ISO TR/8373-2.3 che definisce il robot industriale come: "Un manipolatore con più gradi di libertà, governato automaticamente, riprogrammabile, multiscopo, che può essere fisso sul posto o mobile per utilizzo in applicazioni di automazioni industriali".
Ma non tutti i robot sono uguali. È possibile infatti classificarli primariamente in base alle caratteristiche strutturali e ai gradi di libertà che sono in grado di assicurare nel movimento come vedremo più avanti.
A cosa serve un robot?
I robot nascono in risposta a esigenze produttive caratterizzate da maggiori volumi, più elevata attenzione alla qualità del prodotto, ottimizzazione dei processi, ergonomia degli stessi. I robot infatti possono garantire ritmi più elevati rispetto alla controparte umana, sollevare pesi maggiori, movimentarli con maggiore ripetibilità assicurando così processi più coerenti.
Possono inoltre rispondere a precisi criteri di ergonomia, mallevando gli operatori da operazioni insalubri, ripetitive, pericolose e usuranti. Ed è proprio su queste ultime che il vantaggio della robotica si fa maggiore, riuscendo a garantire coerenza e ripetibilità su attività che inevitabilmente vedrebbero un calo di performance se eseguite manualmente.
I robot possono essere integrati in contesti produttivi diversi, sia rigidi che flessibili. È questo un criterio fondante che deve guidare la scelta dell’automazione più adatta.
I sistemi di produzione rigidi (come per esempio assemblaggi continuativi in serie) sono caratterizzati da una serie di operazioni sempre uguali, ripetitive, ad alto ritmo. Un sistema rigido ha come primo obiettivo l’incremento di produttività e la ripetibilità del processo (e del prodotto).
Quelli flessibili invece, più tipici di piccole aziende o della subfornitura sottoposta ad elevata variabilità e mass customization, sono caratterizzati da operazioni che variano con frequenza – in risposta a stagionalità o pressioni di mercato – e sono contesti in cui il primo obiettivo da perseguire è la riduzione costante dei tempi di programmazione e fermo macchina. Sistemi flessibili prediligono quindi apparecchi robotici il cui processo di programmazione risulta semplificato. Ne sono un chiaro esempio i robot collaborativi.
Qui di seguito invece affrontiamo le tipologie di robot in base ai gradi libertà e ai movimenti che sono in grado di eseguire.
La classificazione dei robot
I robot, in base alle possibilità di movimento su più assi, possono essere così classificati:
- Robot cartesiani (robot a portale, robot xyz o ICS = Integrated Combination System): sono una combinazione di due o più assi elettrici lineari o rotanti. Per questo, sono il tipo di robot con la cinematica più semplice e facile da comandare. Ogni asse ha un solo grado di libertà. Il robot cartesiano risponde a esigenze di contenimento del consumo di suolo a bordo macchina per, a esempio, una movimentazione o una pallettizzazione su una linea esistente. In questo caso la capacità di corsa movimentazione più ampia sui tre assi X,Y e la relativa escursione possibile in verticale, rende questa soluzione migliore rispetto a quella antropomorfa. Scelta analoga quando il carico da trasportare è molto elevato. A parità di peso, infatti, la robotica cartesiana mantiene tipicamente il carico centrato sotto l’asse Z, generando minori momenti e garantendo maggior stabilità e dinamiche più elevate rispetto all’articolazione del robot antropomorfo, chiamato a movimenti più complessi, spesso più lenti, per raggiungere lo stesso punto nello spazio.
- Robot antropomorfi (o articolati) a 6 assi: è il robot più flessibile. Con 6 gradi di libertà, è in grado di riprodurre pressoché tutti i movimenti di un braccio umano, compresi quelli della mano. È particolarmente adatto a svolgere movimenti su coordinate x,y,z complesse e ad alta variabilità, proprio per la sua capacità di raggiungere punti intermedi nello spazio. È indicato nelle operazioni di movimentazione e/o montaggio in punti. È molto diffuso nel settore automobilistico per il montaggio e la saldatura dei pezzi, ma trova impiego in qualsiasi campo industriale.
- Robot SCARA (acronimo di Selective Compliant Assembly Robot Arm): è un robot concepito per operazioni veloci e precise. È nato all’inizio degli anni ’70 da un’analisi condotta sui movimenti maggiormente ricorrenti in ambito produttivo: questi si riducono essenzialmente a 4, che sono appunto gli assi (o gradi libertà, di cui gode il robot SCARA. Il vantaggio che presenta questo tipo di robot rispetto ad altri è dovuto al fatto che per sollevare un pezzo lungo l’asse z il movimento avviene su un solo asse. Il che ne semplifica la struttura rendendolo più affidabile. In un piano orizzontale si muovono 2 bracci articolati, incernierati ad una estremità con un asse verticale fisso, mentre all'altra estremità libera si trova un asse Z. Rispetto a quest’ultimo asse è possibile muoversi verticalmente e ruotare.
- Robot Delta: questo tipo di robot consiste in tre bracci collegati da giunti universali alla base. La caratteristica chiave del design è nei bracci, che mantengono l’orientamento del dispositivo di estremità. È progettato appositamente per ottimizzare la velocità e la versatilità delle operazioni di prelievo e movimentazione a velocità elevata di piccoli componenti in svariati settori, tra cui quelli alimentare, farmaceutico ed elettronico. I robot Delta esistono con 3, 4 o 6 assi. La loro struttura unica, a cinematica parallela, e il perimetro di lavoro molto ampio li rende candidati ideali per applicazioni di automazione più complesse. Garantiscono accelerazione rapida e velocità elevata e sono caratterizzati da straordinari livelli di prestazioni che consentono di mantenere al minimo il numero di robot richiesti su una linea e di limitare il layout produttivo.
- Robot Collaborativi: lo stadio ultimo dell’evoluzione della robotica. Pensati per interagire in sicurezza con l’essere umano (in virtù di sofisticate safety native, della velocità e del peso ridotto) rispondono anche a una spiccata esigenza di flessibilità. Sono infatti di norma molto più facilmente programmabili rispetto agli antropomorfi (con cui condividono i 6 o più gradi libertà, la forma articolare simile al braccio umano e la possibilità di integrare al polso numerosi accessori per automatizzare operazioni via via diverse. Il primo modello di cobot (collaborative robot) è stato sviluppato da Universal Robots nel 2008. Sono caratterizzati da cinematica snella e leggera, dimensioni contenute (che ne facilitano il trasporto fra una linea e l’altra a tutto vantaggio della flessibilità dell’automazione) e dalla possibilità di poter operare in contesti aperti, senza spazi segregati (ovviamente dopo l’analisi del rischio condotta sull’applicazione nel suo complesso).